Filastrocche della Versilia

Qui di seguito riporto alcune delle filastrocche più popolari della Versilia.

Tonio Romito

Tonio Romito segava le prade

sette salacche mangiava a boccon

olio di sansa e pane ammuffito

questa è la storia di Tonio Romito.

 

La Pellicciona

Fola, fola della pellicciona, tutto il dì me la cantai, pane e vino guadagnai, guadagnai anche un bel cappone e lo portai al mio padrone.

il mio padron fu tanto matto, mi de’ la fuga co’ ‘n batacchio. Quella serva maledetta mi de’ la fuga con la paletta, me ne andai di là da Porta, ci trovai una vacca morta.
con la pelle mi ci vestitti, con le corna una trombetta, con la coda una spazzoletta.

Me ne andai di là del mare, tutte le vecchie a strombettare, tutte le giovani a ballare, alle vecchie un cataletto, alle giovani un bel letto, alle giovani un frusciù e alle vecchie ‘nturuttuttù.

Filastrocche varie su Retignano

Cavol cacon, cacon nel pian, ci nascette Retignan, Retignan dalle sette colonne, cavoli cotti e zucche tonde.

Sotto il pero e sotto il melo, sotto la coda dell’asino nero, l’asino nero scese al piano e ci nacque Retignano, Retignano ha tre colonne, cavoli gobbi e zucche tonde.

Retignano ha le mura di menta: piange chi sorte e ride chi c’entra.

Altre filastrocche

Pero, pero, dimmi il vero, non mi dire una bugia, bada ben che-qui-ci-sia.

Vedo la luna, vedo le stelle, vedo Caino che fa le frittelle, vedo la tavola apparecchiata, ecco Caino che fa la frittata.

La Pefana è giù in cantina, che si veste a contadina, la Pefana ha le scarpe a trainanà, la Pefana è mi ma’.

Oh Pefana, Pefana, sei la mi’ dama, sei la mi’ sposa, tirimi giù qualche cosa.

Luna lunella, vattene in casella, che c’en le bimbe belle che filino la seta, seta e bambace Madonna che mi piace, mi piace un bel bambino, bianco rosso e ricciolino.

La bella lavanderina, che lava i fazzoletti, per i poveretti della città. Fai un salto, fanne un altro, fai la giravolta, falla un’altra volta, guarda in su, guarda in giù, dai un bacio a chi vuoi tu.

La canzone della Monna Lisa

Era una notte d’acqua a catinelle,

andavo in giro senza le bretelle.

A un certo punto vidi un cimitero.

Com’era buio! Com’era nero!

Saltando di tomba in tomba, vidi una bionda, mamma mia che bionda!

Era il fantasma della zia Gioconda,

che ripuliva la sua tomba vecchia e fonda.

Questa storia non ha significato,

è come fare il vino col bucato,

è come dire grazie al muro,

è come andare in giro con la testa di un canguro![1]

 

Disse il sordo “sento un tordo”, disse il guercio “io lo vedo”, disse lo zoppo “camminiemo, siemo in tre lo riacchiappemo!”.

Stella stellina, la notte si avvicina, la fiamma traballa, la mucca è nella stalla, la mucca e il vitello, la pecora e l’agnello, la chioccia e i pulcini, la gatta coi gattini, la mamma e i suoi bambini, ognuno ha la sua mamma… e tutti fan la nanna!

C’era una volta Cecco Rivolta che rivoltava i maccheroni, se la fece nei calzoni, la sua mamma lo picchiò, povero Cecco si ammalò. Lo portarono allo spedale, povero Cecco ci stette male, lo portarono al campo santo, povero Cecco, ci stette tanto!

Ambararabà ciccì coccò, tre civette sul comò, che facevano l’amore con la figlia del dottore, il dottore s’ammalò, ambarabà ciccì coccò.

Amblimblone, succo di limone, succo di caffè, a star fuori tocca proprio a te!

Bim bum bam, pesce fritto e baccalà

Ninna nanna, ninna oh, questo bimbo a chi lo do? Lo daremo alla Befana, che lo tenga una settimana, lo daremo all’omo nero, che lo tenga un anno intero, lo daremo alla sua mammina, che lo tenga dalla sera alla mattina.

 

Prete Ciocchetto e il berretto

Il 1973 fu l’anno in cui la rivista Versilia Oggi invitò i propri lettori a condividere le filastrocche versiliesi. A fine anno, Silvano Alessandrini decise di raccontare questa filastrocca che, oltre ad essere antica, aveva un grande insegnamento morale: «educare gli adolescenti al duro cammino della vita». In effetti questo racconto popolare aveva lo scopo di far capire ai bambini che nella vita niente è dovuto, ma ci si deve guadagnare il pane con la fatica, così come il povero bimbo che perse il berretto dovette sudare sette camicie per riaverlo indietro.

Andai per un viottoletto stretto stretto e ci persi il mi’ berretto.

Lo trovò prete Ciocchetto. “Prete Ciocchetto, ridammi il mi’ berretto!”

“No se tu un mi dai pane”.

Andai da grano: “grano dammi pane!”, “pane non ti do se tu non mi dai acqua”.

Andai dal fiume: “fiume dammi acqua”, “acqua non ti do se tu non mi dai neve”.

Andai da monte: “monte dammi neve”, “no neve un ti do se tu non mi dai vento”.

Andai dal cielo: “cielo dammi vento”, “vento un ti do se tu non mi dai pianta”.

Andai da bosco: “bosco dammi pianta”, “pianta non ti do se tu un mi dai erba”.

Andai da prato: “prato dammi erba”, “erba un ti do se tu non mi dai seme”.

Andai da sacco: “sacco dammi seme”, “seme un ti do se non mi dai topo”.

Andai da gatto: gatto mi dié topo, topo portai a sacco, sacco mi dié seme, seme portai a prato, prato mi dié erba, erba portai a bosco, bosco mi dié pianta, pianta portai a cielo, cielo mi dié vento, vento portai a monte, monte mi dié neve, neve portai a fiume, fiume mi dié acqua, acqua portai a grano, grano mi dié pane, pane portai a prete Ciocchetto.

Fu così che mi rimisi il mi’ berretto.

Note

[1] Filastrocca che Andrea e Rebecca mi insegnarono da piccolo. In alcune varianti si dice “lavarsi i denti col cianuro”, ma è troppo macabra per dei bambini secondo me. Inoltre alcuni canticchiano “è come dire Marco nel bucato” oppure al posto di Marco sostituiscono un qualsiasi altro nome.

Interessante questo articolo che riguarda il dialetto versiliese.

Loading

Scritto da Lorenzo Vannoni
28 anni. Chimico analitico con passione per la storia locale e autore del sito